Lo sappiamo bene oramai, l’importanza della vitamina D riveste un ruolo chiave nel buon funzionamento e nella fisiologia del corpo umano. In questo articolo voglio parlarvi della carenza di vitamina D, la quale è stata associata ad alcuni disturbi tra cui le malattie metaboliche ed endocrine.
Riprendiamo il ruolo della vitamina D e il suo fabbisogno quotidiano.
Spesso è definita un ormone sia per sottolinearne le innumerevoli funzioni, sia per perché la struttura chimica della vitamina D è molto simile a quella del colesterolo e del testosterone, in quanto si tratta di uno steroide. Sentiamo spesso parlare di un’unica forma di vitamina, in realtà, ne esistono tre: il colecalciferolo, inattivo, il calcidiolo che si misura nel sangue, ed il calcitriolo, forma biologicamente attiva. Il colecalciferolo è la forma che assumiamo tramite gli alimenti, ma anche quella che si ottiene in seguito alla conversione del precursore 7-deidrocolesterolo, dopo l’esposizione ai raggi del sole. Affinché questa possa svolgere correttamente le sue funzioni, deve essere presente in quantità adeguate nelle diverse fasce d’età, tenendo conto delle linee guida per il fabbisogno giornaliero di vitamina D. Infatti, è consigliata una dose massima di 2.000 UI nei bambini fino a 12 mesi, di 4.000 UI fino a 18 anni, nei soggetti con un’età maggiore di 18 anni la massima dose è di 10.000 UI al giorno, anche in caso di gravidanza ed allattamento.
Una carenza di vitamina D può indurre problemi metabolici?
Per dimostrare ciò, è stato condotto uno studio utilizzando 1475 partecipanti di una clinica ben nota di Pechino, in Cina. Sono stati raccolti campioni di sangue a digiuno e sono state misurate concentrazioni sieriche di 25 (OH) D, colesterolo totale (TC), trigliceridi (TG), colesterolo lipoproteico ad alta densità (HDL-C) e colesterolo a bassa densità di lipoproteine (LDL-C).
C’è da dire anche un’altra cosa in merito all’argomento. Il colesterolo può essere anche modulato dall’assunzione di Lactobacillus Reuteri, il quale ha dimostrato anche di contribuire a prevenire il rischio cardiovascolare, ed inoltre può contribuire ad aumentare del 25% i livelli di vitamina D.
Sembra che i livelli di siero 25 (OH) D siano strettamente associati ai lipidi sierici e all’indice aterogenico di plasma. La carenza di vitamina D può essere associata all’aumentato rischio di dislipidemie, specialmente negli uomini. L’associazione tra lo stato della vitamina D e i lipidi sierici può differire a seconda dei sessi. La differenza tra ormone e sensibilità ormonale del tessuto bersaglio tra i sessi potrebbe avere un impatto diverso sul metabolismo dei lipidi, ma non solo, anche le differenze di stile di vita come il fumo, il consumo di alcol, l’esposizione al sole e l’attività fisica possono anche contribuire a risultati dissimili i soggetti.
Come si spiega tutto questo?
Una risposta a ciò la possiamo dare considerando che l’aumento dell’assorbimento intestinale di calcio può ridurre la sintesi e la secrezione di trigliceridi a livello epatico. La vitamina D potrebbe inibire la sintesi e la secrezione dei trigliceridi attraverso la stimolazione dell’assorbimento intestinale del calcio. Inoltre, un aumento del livello di calcio intestinale potrebbe ridurre l’assorbimento intestinale di acidi grassi per via della formazione di complessi grassi calcio-insolubili. Così, i livelli sierici di colesterolo a bassa densità di lipoproteine sarebbero ridotti dal ridotto assorbimento di grassi, in particolare acidi grassi saturi. Inoltre, vi è un’altra spiegazione in merito: il calcio è in grado di promuovere la conversione del colesterolo negli acidi biliari e quindi ridurre il livello di colesterolo in circolo.
Perché è importante mantenere un corretto livello di vitamina D per il sistema endocrino?
Oltre al fatto che numerose ricerche hanno confermato sia che la vitamina D è coinvolta nel metabolismo dei lipidi come la sintesi dell’acido biliare nel fegato, influenzando direttamente la regolazione dei lipidi , e sia che la vitamina D può influenzare le concentrazioni di trigliceridi circolanti regolando i livelli di ormone paratiroideo, in quanto concentrazioni più elevate di 25 (OH) D sopprimono i livelli sierici di ormone paratiroideo, alcuni studi recenti hanno fornito un’importante evidenza del fatto che la carenza di vitamina D è associata ad alterata funzione delle cellule beta, e quindi correlandosi al fenomeno di insulino-resistenza, la quale va ad influenzare il metabolismo delle lipoproteine e portare ad un aumento del livello di trigliceridi e una diminuzione del livello di colesterolo lipoproteico ad alta densità.
Oggi sappiamo che, in una donna sana, la concentrazione sierica di vitamina D è maggiore rispetto a quella dei pazienti affetti da sindrome dell’ovaio policistico (PCOS). Il meccanismo d’azione della stessa nei pazienti con PCOS rimane sconosciuto, ma l’integrazione di colecalciferolo migliora la loro resistenza all’insulina e gli effetti del trattamento dell’infertilità. La vitamina D stimola anche la produzione di ormone anti-Mülleriano, che è altamente correlato alla conservazione della riserva ovarica. Gli studi suggeriscono che la vitamina D modifica i modelli di produzione dell’ormone anti-Mulleriano nelle cellule di granulosa ovarica e altera la sensibilità dell’ormone follicolo-stimolante (FHS), possibilmente giocando un ruolo nello sviluppo del follicolo ovarico.
Miomi uterini. Allo stesso modo, nei pazienti con carenza di vitamina D, si osserva una maggiore presenza di miomi uterini, un’altra ragione stabilita per l’infertilità.
L’effetto della vitamina D sulle cellule della granulosa ovarica responsabile della steroidogenesi, così come sulla regolazione del sistema immunitario, è stato stabilito dopo aver trovato i recettori 1-α-idrossilasi e VDR in placenta, ovaie, endometrio e ghiandole pituitarie. Nei pazienti di sesso maschile, il VDR è stato trovato nei testicoli e negli spermatozoi.
Insufficienza ovarica prematura. L’insufficienza ovarica prematura è definita come l’inizio del periodo menopausale prima del 40° anno di vita ed è stato dimostrato come possa anche essere influenzata dal livello di vitamina D. Fatta eccezione per il fattore età, l’ormone anti-Mülleriano (AMH) è ben riconosciuto come marker biochimico di questa sindrome. Dopo le fluttuazioni fisiologiche nell’infanzia, l’AMH si è stabilizzato all’età di otto anni e successivamente inizia a diminuire a partire dal 25° anno di vita fino all’inizio della menopausa. L’AMH è prodotto dalle cellule della granulosa ovarica indipendentemente dalla stimolazione con le gonadotropine, ma può essere attivato dall’integrazione di vitamina D. È responsabile della stimolazione dei follicoli primari nelle ovaie e della loro suscettibilità all’FSH. Nella riproduzione assistita, è ampiamente usato come parametro di riserva ovarico. In uno studio recente, i livelli sierici di vitamina D, ormoni steroidei, SHBG e marcatori di riserva ovarica sono stati determinati in 73 donne non-obese, sane. Nel siero di il livello di vitamina D era correlato positivamente con il testosterone totale e l’indice androgeno libero, per cui gli autori suggeriscono che la vitamina D possa aumentare la fertilità attraverso la modulazione dell’attività degli androgeni.
Conclusioni
Oltre a verificare le concentrazioni sieriche di vitamina D quando si ha intenzione di concepire un figlio, si consiglia sempre il cambiamento dello stile di vita, intraprendendo una dieta di segnale in grado di stimolare naturalmente l’asse della fertilità.
Fonti bibliografiche:
- Luca Pagliardini et al. High Prevalence of Vitamin D Deficiency in Infertile Women Referring for Assisted Reproduction. Nutrients 2015, 7(12), 9972-9984
- Filip A. Dabrowski et al. The Role of Vitamin D in Reproductive Health—A Trojan Horse or the Golden Fleece? Nutrients 2015, 7(6), 4139-4153
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27768777